Partiamo
da un assunto che vorrebbe fare della banalità uno stimolo incalzante: insegnare italiano
agli stranieri diventa più semplice se l’insegnante conosce un pochino la
lingua d’origine dei propri allievi. Se da una parte è impossibile conoscere in
maniera completa tutte le lingue di coloro che chiedono un aiuto formativo, dall’altra
parte è pur vero che l’esperienza sul campo aiuta a comprendere, benché
sommariamente, le diverse e peculiari strutture linguistiche con cui un
insegnante d’italiano L2 ha quotidianamente a che fare.
Questo
generico elenco di specificità linguistiche, vorrebbe porsi quale bignami
comparativo tra l’italiano e il romeno e desidererebbe, in qualche modo, essere anche un fattivo aiuto per tutti coloro che intendano insegnare l’italiano ai
discenti romeni: non è in fondo vero che conoscendo le persone che si hanno di
fronte è più facile dialogare con loro? Conoscerne l’origine, la lingua d’origine?
Le affinità e le divergenze, le potenziali problematiche e le predisposizioni
linguistiche?
Sommario
comparativo per discenti romeni e insegnanti d’italiano agli stranieri
Per
il madrelingua romeno, essendo il romeno
lingua romanza, potrebbe apparentemente sembrare semplice imparare la “cugina”
lingua italiana.
Se
da una parte è vero che il romeno comprende facilmente l’italiano (più dell’80%
delle parole romene derivano dal latino), dall’altra parte bisogna tenere conto
che la lingua romena ha una grammatica particolare, talvolta molto distante da
quella italiana.
Vediamone
alcuni esempi:
Come
il latino ha tre generi: maschile, femminile e neutro (né l’uno, né l’altro).
Ora,
noi sappiamo che il neutro si è estinto in italiano, ed anche in romeno non ha
mantenuto i caratteri significativi che aveva, invece, nel latino (il romeno ne
conserva tracce soprattutto nel Nominativo).
Cos’è
successo?
Che
le parole che erano neutre in latino (es: mare) talvolta hanno preso strade
diverse.
Gli
italiani hanno “deciso” di renderle maschili (il mare), mentre i romeni hanno
“scelto” di renderle femminili.
Si
faccia quindi attenzione ad alcuni sostantivi, specie riferiti a cose e ad
oggetti, che i romeni potrebbero sentire come appartenenti ad un genere mentre
in italiano sono del genere opposto.
Vi
sono, poi, nonostante la “parentela” linguistica, alcune “particolari”
difficoltà che i romeni incontrano nell’apprendimento della lingua italiana:
la
prima, e meno grave, riguarda la percezione delle consonanti doppie: in romeno,
infatti, le consonanti doppie non esistono, e proprio per questo i madrelingua
romeni faticano a “sentirle”.
La
seconda difficoltà linguistica, invece, riguarda gli articoli determinativi (e
quindi anche le preposizioni articolate che vengono formate con l’utilizzo
degli stessi articoli).
Il
motivo di tale difficoltà, come spesso accade, è relativo alla lingua d’origine:
il romeno non ha gli articoli determinativi come li abbiamo noi in italiano.
L’articolo romeno, infatti, non si mette davanti alle parole, ma ha una forma
particolare. Si chiama articolo enclitico e si lega alla parte finale della parola,
quasi fosse un suo suffisso (il ragazzo,
ad esempio, si dice băiatUL).
I
verbi non sono molto diversi dai nostri. Il romeno ha otto modi verbali
(indicativo, congiuntivo, imperativo, condizionale, gerundio, participio,
supino e infinito). In tal senso, le difficoltà maggiori che un madrelingua romeno
potrebbe incontrare nell’utilizzo dell’italiano riguardano l’ausiliare. Non
sempre, infatti, risulta chiaro quando è necessario utilizzare l’ausiliare
essere e quando, invece, bisogna usare avere.
Sulla
parte fonetica, accennata sommariamente la “difficoltà” incontrata con le
doppie consonanti, si segnalano diverse problematiche, soprattutto con alcuni
nessi consonantici.
Il
“GN” italiano non esiste nella fonetica romena. Spesso un madrelingua romeno non
lo “sente” ed è quindi portato a pronunciarlo staccato, distinguendo nettamente
i due suoni (es: luglio viene spesso pronunciato giugh-nio, gh-nomo, ecc.).
Anche
il nesso “GL”, che in italiano si pronuncia come fosse un unico suono, presenta
talvolta la stessa problematica: si tendono a separare i suoni delle due
consonanti (es: lugh-lio)
La
“S” intervocalica (quella di “roSa”, ad esempio) viene spesso “sentita” come
una Z
Il suono “SC”, che in romeno sarebbe scritto con “Ș”, viene avvertito, allo stesso modo del nesso “GL”, come se fossero due suoni separati tra loro (es: rius-cire).
Il suono “SC”, che in romeno sarebbe scritto con “Ș”, viene avvertito, allo stesso modo del nesso “GL”, come se fossero due suoni separati tra loro (es: rius-cire).
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